Un presepe di Giovanni Putti dall’Accademia di Belle Arti di Bologna

Giovanni Putti (Bologna, 1771 – Bologna, 1847), Presepe, primi decenni XIX sec., terracotta policroma Bologna, Accademia di Belle Arti di Bologna

Per le festività natalizie 2023-2024 i Musei Civici d’Arte Antica del Settore Musei Civici Bologna rinnovano il consueto appuntamento con la tradizione dell’arte plastica presepiale proponendo al Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini l’esposizione Un presepe di Giovanni Putti dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, a cura di Mark Gregory D’Apuzzo, Antonella Mampieri e Alfonso Panzetta.

La mostra, promossa in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Bologna e Centro Studi per la Cultura Popolare,  rimane visibile fino al 14 gennaio 2024, con ingresso gratuito.

Al centro dell’invito per riscoprire il prezioso patrimonio dei presepi più significativi per pregio artistico conservati a Bologna, quest’anno è un gruppo della Natività in terracotta policroma modellato nei primi decenni del XIX secolo da Giovanni Putti (Bologna, 1771 – Bologna, 1847), proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, che viene esposto in pubblico per la prima volta.

Figura tra le più rappresentative della scultura neoclassica bolognese, Giovanni Putti compì gli studi presso l’Accademia Clementina, ove vinse diverse medaglie accademiche. Le sue prime realizzazioni furono eseguite per ornare gli apparati effimeri utilizzati per gli eventi religiosi o le commemorazioni di personaggi illustri.
Fu attivo a Bologna per tutta la sua carriera artistica, in particolare nel Cimitero della Certosa dove realizzò numerosi monumenti funebri e i due imponenti Piangenti in terracotta (popolarmente dette Piagnoni o Piangoloni), collocati sui grandi pilastri ai due estremi dell’emiciclo sud del Chiostro Maggiore, idealmente posti a vegliare l’ingresso al Chiostro III. Il suo repertorio di sculture per il cimitero felsineo è da considerarsi il nucleo più rilevante di inizio Ottocento a Bologna, nonché una risposta originale rispetto agli altri grandi scultori contemporanei che hanno lavorato per la città come Luigi Acquisti, Giacomo De Maria e Cincinnato Baruzzi. Peculiare fu il modo in cui interpretò il gusto neoclassico, esprimendo nella sua arte una convivenza tra gli aggiornati modelli iconografici e stilistici canoviani e la persistenza della locale tradizione plastica di derivazione barocca, caratterizzata da effetti scenografici ancora di gran moda a Bologna nell’età della Restaurazione.

Oltre che di ammirare un’opera inedita e rara – poche sono infatti le opere mobili conosciute di Putti – la presentazione del presepe offre a cittadini e turisti la possibilità di visitare al tempo stesso la collezione permanente del Museo Davia Bargellini dove, tra le molte e straordinarie opere, sono esposte le Allegorie della Scultura, Architettura Storia realizzate dallo stesso artista.


La mostra è accompagnata da testi di Antonella Mampieri, Alfonso Panzetta, Fernando e Gioia Lanzi.

Durante il periodo di apertura sono proposte visite guidate gratuite, senza obbligo di prenotazione:
venerdì 8 dicembre 2023 ore 16.00 con Antonella Mampieri e Alfonso Panzetta (co-curatrice e co-curatore della mostra)
mercoledì 13 dicembre ore 16.30 con Silvia Primerano (RTI Senza Titolo S.r.l., ASTER S.r.l. e Tecnoscienza)
sabato 16 dicembre 2023 ore 11.00 con Adele Tomarchio (RTI Senza Titolo S.r.l., ASTER S.r.l. e Tecnoscienza)

sabato 23 dicembre 2023 ore 11.00 con Adele Tomarchio (RTI Senza Titolo S.r.l., ASTER S.r.l. e Tecnoscienza)
martedì 26 dicembre 2023 ore 16.30 con Adele Tomarchio (RTI Senza Titolo S.r.l., ASTER S.r.l. e Tecnoscienza)
sabato 6 gennaio 2024 ore 16.30 con Fernando Lanzi (Centro Studi per la Cultura Popolare)
domenica 14 gennaio 2024 ore 16.30 con Adele Tomarchio (RTI Senza Titolo S.r.l., ASTER S.r.l. e Tecnoscienza).

Un Presepe di Giovanni Putti al Museo Davia Bargellini
Allievo all’Accademia Clementina dello scultore Giacomo Rossi e successivamente di Luigi Acquisti e Giacomo De Maria, Giovanni Putti (Bologna, 1771 – 1847) appartiene al gruppo degli artisti neoclassici nativi di Bologna che cercheranno anche fuori dalla patria successo e fortuna.
Dopo le prime vittorie accademiche nei premi Marsili Aldrovandi, coronate dal successo del 1810 nel prestigioso Premio Curlandese, la sua attività si divide tra chiese e case private, apparati effimeri e monumenti funebri.
Dal 1809 emigrato a Milano per partecipare ai cantieri del Duomo, che riceve nuovo impulso dalla committenza napoleonica, e dell’Arco della Pace, verrà coinvolto nella realizzazione del tripode in argento per il Re di Roma. Costretto a rientrare a Bologna dopo la restaurazione, si dedica alla realizzazione di monumenti per il cimitero comunale su progetto di architetti contemporanei o di sua personale invenzione, come la grandiosa tomba Buratti, con l’imponente figura del Tempo (1818). Sue sono anche le figure velate in terracotta sui piloni del nuovo ingresso progettato da Ercole Gasparini, avvolte in ridondanti panneggi. Per le chiese cittadine Putti raccoglie l’eredità dei grandi stuccatori bolognesi, modellando solenni allegorie o figure di santi che dalle loro nicchie seguono il percorso delle navate (Santa Maria della Purificazione, distrutte; San Giuseppe Sposo) o prospettano dal vertice della facciata (Santa Caterina di Strada Maggiore). Gli si possono riferire immagini dell’Ecce Homo a mezza figura o a figura intera in varie chiese.
Per la devozione privata realizza alcuni presepi che rielaborano un gruppo di partenza composto dalla Sacra Famiglia con il bue e l’asino a cui si accostano figure adoranti, una donna che accompagna un bambino, un giovane in ginocchio con le mani incrociate sul petto o che reca un agnello, altre figure maschili inginocchiate.
Ispirato ad un gruppo analogo, opera di Giacomo De Maria, di cui il Museo Davia Bargellini espone in comodato gratuito una versione (sala 6), il Presepe di Giovanni Putti dell’Accademia di Belle Arti mostra come una idea possa essere declinata con lievi varianti ma con risultati sempre nuovi. Al centro della composizione il Bambino è trattenuto dalla Vergine che si volge di lato tendendo la mano a una giovane donna che accompagna un fanciullo, che devotamente la afferra e la bacia. Dalla parte opposta San Giuseppe si volge cordialmente ad un giovane in ginocchio, appoggiandogli la mano sulla spalla. La scena è ambientata grazie ad un fondale di tronchi legati tra loro su cui poggia un drappo teatralmente panneggiato, da dietro spunta una pianta d’invenzione, che la fantasia dello scultore e del suo pubblico assimilano probabilmente ad una palma. Le protomi dell’asino e del bue spuntano ai lati a completare l’insieme. In basso a destra, tracciata nella creta ancora fresca, spicca la firma dell’autore: “Putti f.”.
Un confronto tra le altre versioni note dello stesso gruppo fa intuire che Putti abbia utilizzato degli stampi per abbozzare le singole sculture, mettendo in opera poi sulle pose, sui panneggi e sui dettagli dell’abbigliamento variazioni anche significative. Nel Presepe della chiesa bolognese di San Martino, in quello di San Benedetto o di San Luca, ad esempio, Maria e Giuseppe sono collocati su piani diversi e così in quelli delle collezioni Sgarbi e Guandalini, mentre nella nostra versione e in quella di Santa Maria di Galliera sono disposti fianco a fianco. Varianti minime sono applicate nelle acconciature della donna offerente, che passa da una reticella neo pompeiana ad un velo dai complessi avvolgimenti, e nel panneggio della tenda di sfondo o nella palma, non sempre presente. Nella versione Guandalini, poi, l’offerente è uno solo, una figura maschile con un agnello, ed è collocato a sinistra e la Madonna ha i capelli sciolti al posto dell’acconciatura con scriminatura centrale, nastro e nodo sul retro del capo. I gesti di Maria e Giuseppe e la posizione del Bambino sono anch’essi variati, soprattutto nel braccio della Madonna, teso per il bacio devoto, accogliente invito all’adorazione o avvolgente protezione del Figlio. Giuseppe, tranne che nella versione comparsa all’asta Wannenes nel 2010, dove è in piedi, più simile al gruppo inventato da Giacomo De Maria, è sempre seduto in adorazione o si protende verso il fedele tenendo una mano sul petto o appoggiandogliene una sulla spalla, a garanzia di una mediazione.
Grazie alla data che compare sul gruppo di San Benedetto (1824) e su quello di San Luca (1825) è possibile collocare questo insieme di variazioni sul tema del presepe nel terzo decennio dell’Ottocento.
Antonella Mampieri

Il Presepe di Giovanni Putti dal Patrimonio Storico dell’Accademia di Belle Arti di Bologna
Il Presepe di Giovanni Putti, capolavoro “in piccolo” databile ai primi decenni del XIX secolo, non è mai uscito dall’Accademia di Belle Arti di Bologna e si presenta al pubblico per la prima volta grazie alla tradizionale iniziativa organizzata dal Museo Davia Bargellini.
Questo piccolo gioiello in terracotta dipinta è parte integrante del consistente e significativo Patrimonio di opere plastiche che la storica Accademia bolognese custodisce gelosamente e che comprende capolavori assoluti costantemente richiesti per esposizioni pubbliche in Italia e all’estero, un patrimonio davvero poco noto alla città di Bologna anche se la sua visita è possibile su appuntamento.
Fra le più antiche d’Italia e pressoché l’unica ancora situata nella sua collocazione originaria, l’Accademia di Belle Arti di Bologna fu fondata nel 1710 per incentivare le industrie artistiche locali, annoverando fra i suoi docenti grandi maestri come Giacomo De Maria, Antonio Basoli, Donato Creti, Ercole Drei, Giorgio Morandi, Virgilio Guidi, fino a Quinto Ghermandi e Concetto Pozzati per citarne solo alcuni.
Le collezioni storiche del suo Patrimonio plastico si compongono di una gipsoteca formata da calchi di opere dell’antichità e di un nucleo di opere originali in materiali diversi che si datano tra la metà del XVII e la prima metà del XX secolo.
Il primo nucleo di calchi dall’antico giunge in Accademia a partire dal 1714 per volontà di Luigi Ferdinando Marsili, implementato da Papa Benedetto XIV (Lambertini) con gessi eseguiti a Roma da Filippo Farsetti a partire dagli anni quaranta del XVIII secolo, ed in seguito arricchito sino a dopo l’Unità d’Italia. I grandi calchi sono collocati e visibili nel corridoio monumentale d’accesso all’Accademia e nell’adiacente Aula Magna, vero e proprio scrigno dei tesori dell’Istituzione. Di particolare importanza sono anche gli antichi calchi dei portali della Basilica di San Petronio (J. della Quercia, Aspertini, Lombardi), ancora presenti nella loro collocazione originale, nell’atrio monumentale d’ingresso.
Il nucleo più importante delle opere d’autore è costituita invece dai lavori premiati negli storici Premi Accademici Marsili Aldrovrandi e Curlandesi tra il 1727 e il 1870. Riferibili ai Premi Marsili Aldrovrandi (1727-1803) sono i numerosi bassorilievi in terracotta di artisti diversi, mentre ai Premi Curlandesi (1785-1870) si riferiscono un gruppo di bassorilievi e opere a tutto tondo in gesso e marmo. Questo eccezionale nucleo documenta in modo esaustivo l’evoluzione della scultura del primo Settecento a Bologna, l’affermarsi del gusto neoclassico tra la fine Settecento e il primo Ottocento e il suo sviluppo sino a Ottocento inoltrato.
Una parte delle opere originali sono però giunte per donazione o lascito, capolavori in marmo, bronzo, gesso, terracotta e legno, tra queste il modello della Fontana dei Fiumi di piazza Navona a Roma di Gian Lorenzo Bernini, che negli ultimi anni ha viaggiato in lungo e in largo tra l’Italia e gli Stati Uniti; ma gli altri nomi presenti sono altrettanto importanti: Alessandro Algardi, Pierre Puget, Filippo Della Valle, Pietro Bracci, Antonio Canova, Giacomo De Maria, Adamo Tadolini, Salvino Salvini, Quinto Ghermandi e Luciano Minguzzi. Una collezione “museale” di assoluta rilevanza che ancora oggi contribuisce alla formazione degli artisti di domani.
Alfonso Panzetta

La parola all’immagine
Il gruppo presepiale esposto per il Natale 2023, così significativo per ogni rappresentazione della nascita del Figlio di Dio, che inevitabilmente porta in sé l’eco della messa a Greccio voluta da san Francesco per il Natale del 1223, presenta molti particolari eloquenti e suggestivi.
Al centro, come assai spesso nei gruppi bolognesi, la Vergine Maria fa corpo con la mangiatoia su cui giace il Bambino: la nudità evidenzia la reale umanità del Figlio di Dio, la paglia della mangiatoia ricorda il fieno di cui si cibavano gli animali della stalla, sostituito per tutti gli uomini dallo stesso Bambino divino. Il drappo bianco, che attenua per il piccolo Gesù la ruvidezza della paglia, è quello che serve da segno ai pastori («Troverete un bambino avvolto in fasce deposto su una mangiatoia», Lc 2, 10-12), ed è quello che la Vergine apre offrendo il Bambino all’adorazione.
Sotto la precaria e povera tenda drappeggiata su tronchi, che evoca l’immagine della tenda che nell’Antico Testamento accompagnò le peregrinazioni degli Ebrei, sperimentate dalla Sacra Famiglia nella fuga in Egitto, si alza la palma che, se richiama il paesaggio egiziano, ricorda anche i rami agitati per l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, prima della Passione, profezia della vittoria finale sulla morte, e anche accenna ai rami che si chinarono, secondo il vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo per soddisfare il desiderio di Gesù (20, 1-2; 21, 1). Nel ricco linguaggio dei simboli, è possibile accostare il dolce frutto della palma – il dattero, simbolo anche della vita interiore – a Gesù, che la Madre – la Palma, che pazienta a lungo prima di dare il suo frutto – offre, pegno della vittoria, per sé e per tutti gli uomini, sulla morte. Alla fuga in Egitto sembra richiamare anche la dinamica posizione delle gambe della Vergine, pronta ad alzarsi: la tranquillità della nascita è insidiata dalla persecuzione malvagia di Erode, e si deve essere pronti ad ogni partenza, cui può alludere anche il bastone da viaggio di Giuseppe.
Accanto alla Vergine, in atteggiamento devoto e confidente, ecco una figura tipica dell’arte presepiale bolognese, la Tradizione, un adulto, in questo caso una donna, che conduce un bambino altrettanto devotamente compreso, a mani giunte: segno di fiducia, rispetto, confidenza, affidamento, come il bacio della mano è il segno della confidente sudditanza verso quella che nel linguaggio italiano diviene la Domina per antonomasia: la Mia Domina, la Madonna, appellativo onorifico per le donne, che, comparso nell’alto Medioevo, soppianta in breve l’appellativo “Madre di Dio” più solenne ed aulico. Questa donna e il bambino hanno vesti assai decorose, quasi ricche: il bambino è ben calzato, la donna, probabilmente la madre, ha i capelli raccolti in una bella reticella. Diverso è l’uomo che si accosta a Giuseppe: la veste corta, che lascia scoperta una spalla, i piedi scalzi, mostrano una persona povera, forse un pastore o un servitore, su cui Giuseppe, che custodirà con cura Gesù, appoggia una mano protettiva, quasi ad anticipare il suo profilo di custode, protettore, difensore anche degli ultimi e dei poveri.
Non mancano qui, riassuntivi di tutta l’umanità, gli immancabili bue ed asino. Rappresentativi, rispettivamente, degli Ebrei, che portavano come un giogo le imposizioni della Legge, e dei Gentili, che portavano come una soma, un carico, il peso dell’idolatria. Sono simpatiche presenze in ogni rappresentazione della Natività. Ignorati dai Vangeli Canonici, ma ampiamente presenti, in forza del loro valore simbolico, nei Vangeli Apocrifi, asino e bue si trovano sempre accanto a Cristo Infante nelle immagini della protocristianità, fin dalle Catacombe, al punto da essere, in non poche di esse, gli unici astanti all’evento (citiamo per tutte il Sarcofago di Stilicone, del IV secolo, Milano, Basilica di Sant’Ambrogio). Riassumono in sé tutti gli Ebrei e tutti i Gentili di ogni tempo: quindi nel bue sono compresi anche la Vergine Maria e san Giuseppe, e nell’asino anche i Magi, e infine noi.
Fernando e Gioia Lanzi