Edward Hopper: a Palazzo Fava la mostra

1927718_10153374535852120_5352563246616383749_n“Tradizionale, senza essere tradizionalista. Hopper, il primo artista autenticamente americano” queste le parole di Luca Beatrice, uno dei due curatori ( insieme a Barbara Haskell, responsabile della sezione dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art di New York) alla presentazione della mostra Edward Hopper, dal 25 marzo al 24 luglio  a Palzzo Fava.

La mostra, organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei nella città, porta a Bologna 58 opere provenienti dal Whitney Museum di New York, custode di oltre 3000 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, ricevute in eredità dalla moglie Josephine nel 1968.

Nelle sale di Palazzo Fava si ripercorre la vita dell’artista: dal primo autoritratto del 1903 fino ai giorni parigini e al ritorno in patria.
Un artista unico che ha saputo regalare al pubblico opere che riflettono un innovativo uso della geometria e della luce e riuscendo a “fissare momenti di vita quotidiana”,  quasi come se fossero fotografie. Un artista, come dice Barbara Haskell, responsabile della sezione dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art di New York, che ritrae e descrive il silenzio con le immagini trasmettendoci, un senso di calma e di solitudine come nessuno aveva fatto prima di lui.

Nella mostra trovate i dipinti dell’artista ma anche una serzione di disegni e schizzi. Dal cinema alla fotografia registi americani hanno preso ispirazione dalle opere di Edward Hopper.  In fondo al percorso un divertente momento interattivo: Entra in scena dove vi potete fare una foto sembrando all’interno di un quadro di Hopper.

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LA MOSTRA >

La mostra, nel contesto dello splendido Palazzo Fava, cuore artistico e culturale di Bologna nei secoli XVII e XVIII e celebre per il ciclo di Giasone, realizzato dai Carracci nel 1584 (secondo Roberto Longhi: «la più bella scena di affreschi inferiori solo alla Cappella Sistina») è suddivisa in sei sezioni.
È seguito un ordine tematico e cronologico che permette all’esposizione di ripercorre la produzione di Hopper, dalla formazione accademica agli anni in cui studiava a Parigi, fino al periodo “classico” – e più noto – degli anni ‘30, ‘40 e ‘50, per arrivare alle iconiche e intense immagini degli ultimi anni.
Il percorso prende in esame tutte le tecniche predilette dall’artista: l’olio, l’acquerello e l’incisione, con particolare attenzione all’affascinante rapporto che lega i disegni preparatori ai dipinti, aspetto fondamentale della sua produzione.
Le prime sezioni illustrano un gruppo di autoritratti, le opere del periodo accademico e gli schizzi inondati di luce e le opere del periodo parigino. Capolavori come Night Shadows (1921) ed Evening Wind (1921) mettono in evidenza la sua tecnica elegante e quel “senso di incredibile potenzialità dell’esperienza quotidiana” che riscuote grande successo e che segna l’inizio di una felice carriera.
Nella sezione che celebra la straordinaria mano di Hopper disegnatore e il suo metodo di lavoro, è presentato un importante gruppo di disegni preparatori come Study for Gas (1940), Study for Girlie Show (1941), Study for Summertime (1943), Study for Pennsylvania Coal Town (1947).

La mostra riunisce anche alcune delle più significative immagini di donne, nude o semi svestite, da sole e in interni, affaccendate o contemplative: dipinti che raccontano al meglio la poetica dell’artista, il suo discreto realismo e soprattutto l’abilità nel rivelare la bellezza dei soggetti più comuni, usando spesso un taglio cinematografico.
Non solo nei dipinti, ma anche nelle incisioni di cui era maestro, nei disegni, negli acquerelli, dall’inizio del secolo agli anni Sessanta del Novecento, la sua carriera inscena uno straordinario repertorio di motivi e generi della pittura figurativa: ritratto, paesaggio, nudo, scena d’interno sono i protagonisti dei suoi capolavori come Self-Portrait (1903-06), Second Story Sunlight (1960), Summer Interior (1909), New York Interior (1921 ca.).
Hopper è stato per lungo tempo associato a suggestive immagini di edifici urbani e alle persone che vi abitavano, ma più che i grattacieli – emblemi delle aspirazioni dell’età del jazz – egli preferiva le fatiscenti facciate rosse di negozi anonimi e vedute di ponti meno conosciuti. Tra i suoi soggetti favoriti vi sono scorci di vita nei tranquilli appartamenti della middle class, spesso intravisti dietro le finestre durante i suoi viaggi, immagini di tavole calde, sale di cinema, divenute delle vere e proprie icone, come testimoniano alcuni celebri capolavori in mostra. Hopper realizza anche notevoli acquerelli, durante le estati trascorse a Gloucester (Massachusetts), nel Maine, e a partire dal 1930, a Truro (Cape Cod Sunset, 1934). Opere che raffigurano dune di sabbia arse dal sole, fari e modesti cottage, animati da sensuosi contrasti di luce e ombra. Dipinti che evocano sempre delle storie, pur lasciando irrisolte le azioni dei personaggi.
La mostra intende mettere insieme una vera e propria “cifra hopperiana”, ereditata in molteplici campi dell’espressione visiva: nella pittura come nel cinema, nella fotografia come nell’illustrazione, e poi ancora nella pubblicità, in tv, nelle copertine di dischi e riviste, nei fumetti e nel merchandising. Persona schiva nella vita privata, poco avvezzo alla frequentazione del mondo dell’arte, Edward Hopper diventa a un certo punto pittore popolare, riconosciuto e amatissimo poiché in lui si leggono i tratti e gli stereotipi del mito americano, ieri come oggi.

L’ARTISTA>
Nato e cresciuto a Nyack – una piccola cittadina nello Stato di New York – Hopper studia per un breve periodo illustrazione e poi pittura alla New York School of Art con i leggendari maestri William Merritt Chase e Robert Henri. Si reca in Europa tre volte (dal 1906 al 1907, nel 1909 e nel 1910) e soprattutto le esperienze parigine lasciano in lui un segno indelebile, alimentando quel sentimento francofilo che non lo avrebbe mai abbandonato, anche dopo essersi stabilito definitivamente a New York, dal 1913.
Alto un metro e novanta, nonostante la forte presenza fisica, era famoso per la sua reticenza, scriveva o parlava pochissimo del suo lavoro. Scomparso all’età di ottantaquattro anni, la sua arte gode della stima della critica e del pubblico nel corso di tutta la carriera, nonostante il successo dei nuovi movimenti d’avanguardia, dal Surrealismo all’Espressionismo astratto, alla Pop art.
Nel 1948 la rivista Look lo nomina uno dei migliori pittori americani; nel 1950 il Whitney Museum organizza un’importante retrospettiva su di lui e nel 1956 il Time gli dedica la copertina.
Nel 1967, l’anno della sua morte, rappresenta gli Stati Uniti alla prestigiosa Biennale di San Paolo.
Da allora, l’opera di Hopper è stata celebrata in diverse mostre e ha ispirato innumerevoli pittori, poeti e registi. Eloquente il tributo del grande John Updike che in un saggio del 1995, definisce i suoi quadri “calmi, silenti, stoici, luminosi, classici”.

Ingresso 13 € con audio guida, 11 € ridotto e bambini 4 – 11 anni
Palazzo Fava, Via Manzoni 2
Fino al 24 luglio
T +39 051 0301089 | www.mostrahopper.it