Scoperte giovani galassie all’alba dell’universo

Una collaborazione internazionale guidata da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha spinto al limite la potenza dei grandi telescopi da Terra e dallo spazio, scoprendo una popolazione di deboli galassie appena formatesi e assai distanti da noi: circa 11 miliardi di anni luce. Nonostante siano rare, questi oggetti celesti ci rivelano le condizioni fisiche estreme presenti nelle prime galassie che si sono formate dopo il Big Bang.

Un team internazionale di scienziati guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma, insieme a colleghi delle strutture INAF di Bologna e Milano e dell’Università di Bologna, ha scoperto una popolazione di galassie giovani in un’epoca assai remota, ovvero circa 11 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva appena il cinque percento della sua età attuale. La scoperta, pubblicata in un articolo sul numero di marzo della rivista Nature Astronomy, è stata ottenuta grazie all’uso combinato delle osservazioni con lo spettrografo VIMOS (costruito da un consorzio franco-italiano) installato al telescopio Very Large Telescope (VLT) dell’ESO in Cile e di immagini del telescopio spaziale Hubble Space Telescope, della NASA e dell’ESA. Lo studio ha permesso di rivelare alcune caratteristiche peculiari di queste galassie primordiali, ricche di gas ionizzato e con piccole concentrazioni di polveri ed elementi chimici come il carbonio e l’ossigeno.

La nascita e l’evoluzione delle galassie, come la nostra Via Lattea, sono avvenute durante le prime centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang e sono ancora quasi completamente nascoste alle nostre osservazioni. Nell’ultimo decennio gli astronomi hanno spinto le loro indagini fino alla cosiddetta “Età Oscura” o Dark Ages, un’era durata per circa 700 milioni di anni dopo il Big Bang, durante la quale l’universo era completamente oscurato da una densa nebbia di idrogeno neutro. Per conoscere le caratteristiche di queste galassie primordiali, il team di scienziati guidati da Ricardo Amorín, all’epoca ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma e oggi in forza all’Università di Cambridge, ha adottato un approccio diverso da quelli seguiti finora: questo approccio si basa sul fatto che nuove galassie continuano a formarsi anche dopo l’Età Oscura, seppure con un ritmo più blando. Siccome queste galassie sono un po’ più vicine a noi e più libere dalla nebbia di idrogeno delle loro controparti dell’Età Oscura, sono più facili da studiare ma rivelano tutte le proprietà degli oggetti di quella remota epoca. La scoperta ha comunque richiesto un grande sforzo osservativo, coordinato dal progetto VIMOS-VLT UltraDeep Survey (VUDS), la più grande survey di galassie lontane mai realizzata.
«Abbiamo trovato per la prima volta una popolazione di galassie estremamente giovani, con le proprietà che dovrebbero avere le galassie nella fase iniziale della loro vita» spiega Amorín. Gli spettri ottenuti con lo spettrografo VIMOS rivelano che tali galassie sono ricche di gas ionizzato e povere di polveri e elementi quali il carbonio e ossigeno. «Questi elementi sono rilasciati nel mezzo dalle stelle molto massicce nate dall’intensa formazione stellare che osserviamo e che sono appena esplose» dice Enrique Pérez-Montero, dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía, che ha partecipato alla scoperta. Queste stelle molto calde e luminose sono in grado, prima di esplodere come supernove, di ionizzare con la loro radiazione ultravioletta le nubi di gas di idrogeno che le circondano. I successivi flussi di gas che si creano, arricchiti di carbonio e ossigeno, “inquinano” l’universo circostante (composto principalmente da idrogeno ed elio) di elementi più pesanti e lo puliscono dell’idrogeno neutro, contribuendo alla fine dell’Età Oscura.
Adriano Fontana, ricercatore INAF co-autore dello studio spiega che «abbiamo sorpreso queste galassie in un momento in cui stanno formando per la prima volta stelle in modo assai violento, in una sorta di esplosione di formazione stellare che le rende molto luminose».
«Siamo stati in grado di trovare dieci di queste galassie rare e particolari grazie alle nostre osservazioni eccezionalmente profonde che hanno permesso di studiare più di ventimila oggetti» aggiunge Olivier Le Fèvre, del Laboratoire d’Astrophysique dell’Università di Aix-Marsiglia e Principal Investigator della survey VUDS.
Le immagini del Telescopio Spaziale mostrano che le galassie scoperte sono 30 volte più piccole e cento volte meno massicce della Via Lattea e hanno forme compatte o irregolari, che in alcuni casi suggeriscono che ci siano due oggetti in fase di coalescenza. Gli oggetti scoperti gettano nuova luce sul processo di formazione delle galassie che è ancora largamente sconosciuto e tracciano la strada per organizzare ed interpretare le osservazioni future con il nuovo telescopio spaziale James Webb Telescope, il cui lancio è previsto nel 2018.

La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy nell’articolo Analogues of primeval galaxies two billion years after the Big Bang di Ricardo Amorín, Adriano Fontana, Enrique Pérez-Montero, Marco Castellano, Lucia Guaita, Andrea Grazian, Olivier Le Fèvre, Bruno Ribeiro, Daniel Schaerer, Lidia A.M. Tasca, Romain Thomas, Sandro Bardelli, Letizia Cassarà, Paolo Cassata, Andrea Cimatti, Thierry Contini, Stephane de Barros, Bianca Garilli, Mauro Giavalisco, Nimish Hathi, Anton Koekemoer, Vincent Le Brun, Brian C. Lemaux, Dario Maccagni, Laura Pentericci, Janine Pforr, Margherita Talia, Laurence Tresse, Eros Vanzella, Daniela Vergani, Giovanni Zamorani, Elena Zucca ed Emiliano Merlin.

La figura
Sulla sinistra, campo profondo della Cosmic Evolution Survey da cui sono state selezionate le galassie della VLT UltraDeep Survey. A destra in alto, una delle galassie oggetto dello studio, ad una distanza di 11 miliardi di anni luce, come è vista dall’Hubble Space Telescope. Il suo colore verde è dovuto all’ossigeno ionizzato. A destra in basso, lo spettro di questa galassia preso con lo spettrografo VIMOS al Very Large Telescope dell’ESO con 14 ore di esposizione. Da notare quanto sono deboli le righe degli elementi quali carbonio, azoto e ossigeno rispetto alla riga dell’idrogeno (indicata come Lyman alpha)